La definizione dei criteri da seguire nella selezione dei soggetti da intervistare ha dato il via ad una vivace discussione sulle motivazioni alla base di tali scelte e sulle tematiche della ricerca in generale. Di seguito alcuni stralci della conversazione -avvenuta via posta elettronica- ricchi di spunti e di osservazioni di cui è bene tenere memoria.
da
Stefano:
Cari amici,
concordo con i criteri Pirone/Rebeggiani,
ma con una specificazione: non vedo la necessità di preferire (punto 2) quanti
abbiano avuto una pluralità di tipologie contrattuali a chi, ad es., ne abbia
avuto solo una. Non è la modalità contrattuale ciò che ci interessa, ma la
natura atipica (come definita sub 1).
da
Francesco:
Caro Stefano
concordo con la tua osservazione; un
giovane con un'esperienza di lavoro atipica e precaria ci interessa. Questo
tipo di giovane lavoratore non può essere escluso e dobbiamo rilevare anche
questo tipo di traiettoria ed esperienza; la condizione 2 è stata introdotta
per fare uno sforzo aggiuntivo per trovare traiettorie professionali atipiche
un po' più articolate, da qui poi anche l'idea di preferire giovani un po'
avanti con l'età, senza escludere gli altri. Resta necessario il criterio 1,
orientativi quelli successivi.
da Giustina:
(…) In
merito ai criteri mi pare chiarissimo quello che avete scritto e utile
ovviamente, mi resta però la perplessità che non sono forse riuscita bene ad
esprimere fino ad ora rispetto a quello che fin dall'inizio Francesco ci
propone di studiare. Io penso infatti che studiare/cercare soggetti con Esperienza
lavorativa atipica con la pubblica amministrazione locale, significhi
operare una scelta di campo molto chiara, ossia studiare di fatto i profili
medio alti, laureati nella maggior parte dei casi, al massimo, pochi, diplomati,
questo va benissimo perché so bene che la precarietà odierna riguarda anche
questo tipo di soggetti, ma non sono però esattamente quelli che io immaginavo
dovessimo osservare e raccontare in virtù di una così forte caratterizzazione
del nostro territorio. O per lo meno non sono i soli che io volevo capire. Non
so se riesco a spiegarmi ma io pensavo che la nostra dimensione territoriale -
Napoli o l'area metropolitana di Napoli fa poca differenza da questo punto di
vista - implicasse la realizzazione di una ricerca che a partire da
quello che abbiamo sempre pensato sul mezzogiorno, dovesse andare a vedere che
faccia avesse oggi e dove fosse collocata quell'offerta di lavoro che un tempo
chiamavamo zoccolo duro della disoccupazione e che buttata dalla porta
della pubblica amministrazione - perché il privato nel territorio non c'è -
rientrava dalla finestra, ed erano pure i più fortunati. Insomma forse mi ero
fatta come Francesco un mio percorso di ricerca che cercava di soddisfare una
mia curiosità però volevo dirvela perché penso che emergerà alla fine del
lavoro che è di questo tipo di precarietà non rappresentata che ci siamo
occupati.
Infine
se devo tradurre in pratica quanto indicato nei criteri allora ad esempio
rispetto al comune di Napoli rientrano nella categoria di soggetti che hanno
avuto un rapporto diretto di lavoro atipico con la pubblica amministrazione
anche gli architetti di cui abbiamo parlato tanto tempo fa e che avevamo
escluso? Invece, e lo dico sempre per capire se ho capito, gli LSU ancora in
relazione con Comune (pochi) e con regione (di più) non li prendiamo?
Ciò
detto penso di partire dal cercare un po' di persone che abbiano avuto a che
fare con l'ampia realtà dell'assistenza tecnica alla regione Campania.
da Enrica:
Penso
che Giustina abbia toccato un punto importante. Va bene se studiamo un segmento
non troppo specifico della realtà locale – e proprio per questo poco studiato
– ma dobbiamo essere consapevoli della scelta. Poi stiamo sempre attenti
a non studiare i percorsi lavorativi soltanto: non è questo l’oggetto della
ricerca.
noi
dobbiamo capire chi e se li ha rappresentati nelle varie tappe del loro
percorso
da Francesco:
Concordo
con Giustina che i criteri utilizzati ci portano ad individuare prevalentemente
persone con titoli di studio medio-alti (diplomati a salire e anche oltre la
laurea), meno gli LSU. Questo, però, rientra anche in una prospettiva di
ricerca che tenta di distinguere i precari nel senso attuale del termine dal
"precariato storico" degli enti locali e della ridefinizione del
problema della rappresentanza. Può essere un modo per approcciare la questione,
ma ovviamente non esclusivo, lo dice Giustina stessa.
Questa
prospettiva ha interesse in relazione al dibattito sul società della
conoscenza, delle nuove professioni legate ai settori della conoscenza, e delle
nuove modalità di impiego atipiche (logiche miste dipendenza
autonomo/professionale imprenditorialità) anche dal punto di vista contrattuale
(collaborazioni, la forma atipica per definizione e più problematica in termini
di rappresentanza) e su presunte centralità di certi ceti professionali. Si
entra per questa via sul dibattito sul postfordismo, sulla individualizzazione,
sulle diverse prospettive teoriche emergenti (società in rete, società
dell'informazione, società della conoscenza...). La specificità del contesto
napoletano, poi, è legata all'estensione delle occupazioni private e nel
pubblico che coinvolgono queste figure professionali (pensiamo ad esempio
a quello che ci ha detto Benassi della sua ricerca). Queste figure
professionali sono rilevanti rispetto al tema della rappresentanza perché
riguardano: a) la natura del lavoro (presunta nuova, rinnovata in parte,
completamente innovativa in altre parti, per esempio in relazione alle
tecnologie), b) le forme occupazionali (fuori dalla logica del lavoro
dipendente); c) e la difficoltà del sindacato tradizionale rispetto a questi
soggetti. Questa prospettiva, inoltre, ci permette di evitare di guardare gli
"ultimi", ma di guardare al ceto medio o meglio alla crisi del ceto
medio, alla sua fragilizzazione e alle forme della rappresentanza.
Interessante?
Faccio
alcune osservazioni sul titolo di studio:
-
alto titolo di studio, non significa profilo professionale elevato
(accreditamento formale e competenze effettive);
-
c'è, poi, il problema della corrispondenza al titolo di studio dell'inquadramento
professionale e del contenuto del lavoro - elementi da verificare sul campo -
(tesi della overeducation)
- ma
anche della corrispondenza in termini di contenuto tra quello che si è studiato
e quello per cui si viene impiegati (tesi del mismatch)
Il
dibattito è molto articolato e chiama in campo, però, la tematica della ruolo
dell'istruzione nella società contemporanea in termini di mobilità sociale o,
da altra prospettiva, come forma di garanzia individuale da processi di
"squalificazione" sociale... interessante?
Non
è il punto di vista sugli ultimi... ma la precarietà - mi sembra, ma cerco
conferma - acquista valore euristico se riesce a far emergere un mondo sociale
che non è quello dei poveri e dei lavoratori poveri e dei problemi di
riconoscimento e rappresentanza. Non ne sono certo, ma aspetto di confrontarmi
con voi.
Comunque
questa mi sembra essere la pista di discussione che può portarci a raffinare le
nostre elaborazioni.
da Giustina:
Ok,
mi hai convinto, io resto legata - anche per questioni anagrafiche e di
frequentazione - ad una visione che parte da quelle figure e quei percorsi che
da sempre mi hanno interessato (scientificamente e politicamente) e che sono
quelli ai margini, il vecchio che non siamo stati capaci di risolvere, però io non
intendevo necessariamente gli adulti maschi capifamiglia senza titolo di
studio, io pensavo anche e soprattutto a giovani più o meno qualificati (in
maniera media) che per collocazione di classe di appartenenza, per strumenti
culturali poveri (hanno il diploma ma un analfabetismo di fatto) e povertà di
territorio in cui vivono non hanno la capacità di accedere a quelle strade a
cui stai pensando tu. Tuttavia concordo, che oggi questi rappresentano solo un
pezzo (ma come tutti, pensiamo a dei pezzi della realtà, sono pezzi, anche come
abbiamo entrambi detto, quelli a cui pensi tu e via dicendo) e in questo senso
nel chiarirmi progressivamente le idee mentre parliamo direi che per me in una
ricerca ideale oggi a Napoli andrebbe studiata la compresenza e i punti
di contatto e di distanza fra la precarietà dei padri e quella dei figli,
perché credo che molte cose si scoprirebbero: che la seconda si mantiene
sulla prima, che la rappresentanza i secondi non la cercano e i primi non
l'hanno trovata e via dicendo, nella mia idealtipica ricerca a Napoli.
Detto questo io per prima quando ho lavorato sulle coppie flessibili ho
intercettato solo giovani dal diploma in su (e oltre la laurea) e ho capito e
scritto che il solo titolo di studio non indica niente in termini di profilo
professionale poiché è il concorrere di molti fattori che definisce la
posizione lavorativa occupazionale e personale (e quindi la precarietà) dei
soggetti: capitale sociale, familiare, economico e culturale intrecciato alle
reti che in questo modo ti puoi costruire fanno di te uno inserito in un
percorso in cui le competenze e le diverse esperienze lavorative formano una
traiettoria che definisce un profilo o una vita disgraziata in cui niente si
cumula con niente ed in cui i temi della overeducation o dello spiazzamento la
fanno da padrone. E' per questo che mi permetto di citarmi nella suddetta
ricerca dal diverso intrecciarsi di questi elementi veniva fuori la possibilità
di articolare la precarietà in cinque dimensioni che non tutti i soggetti
esperivano (precarietà del lavoro, dell'occupazione, abitativa, economica e
esistenziale).
Sul
punto ruolo della scuola siamo ad un altro tema che svetta nel capitolo 'i miei
temi di ricerca a Napoli se avessi soldi' non solo la mobilità sociale ma anche
l'intreccio fra scuola, il tema della valorizzazione del capitale umano e
- come abbiamo detto nella tesi di dottorato di Emanuele - riproduzione
istituzionale delle diseguaglianze attraverso di essa, che vuol dire legare e
leggere queste alle scellerate recenti scelte di politiche del
lavoro.
da
Giustina:
(…) Volevo solo aggiungere che
riflettendoci non è solo la precarietà dei padri e quella dei figli che appare
interessante confrontare in questa città ma anche quella degli stessi figli che
in parte continuano ad essere esclusi e marginali come i padri e in parte
mostrano le caratteristiche della esclusione e marginalità definita dalla
flessibilità: insomma il tema mi pare la diversità della/nella precarietà.
Sempre coscienti come dice Enrica che di questi l'aspetto centrale deve sempre
essere come sono e se lo sono rappresentati.
da Francesco:
Cara Giustina
hai fatto bene a segnalarci di
recuperare la tua recente ricerca sulle coppie flessibili che è utile e
necessaria per la ricostruzione del contesto d'indagine e per recuperare le
categorie analitiche che già hai utilizzato, teoricamente ed empiricamente, e
che ci tornano utili per leggere e interpretare i casi empirici quanto fare le
interviste.
E' poi molto intrigante la prospettiva
generazionale per la comprensione dell'evoluzione della precarietà; discorso
analogo e ancora più pertinente vale per la rappresentanza.
da Valentina a Giustina:
entro nel merito ma solo un po' ché preferisco
riparlarne di persona: a me la proposta di Francesco piace.. sarà che è più
riflettuta e quindi ben argomentata, sarà che guarda a un target a cui mi sento
particolarmente vicina, sarà che la vedo concreta e realizzabile, con tutte le
difficoltà che ci siamo dette.. tutta la questione sulla difficoltà di
capitalizzazione della formazione, sullo scollamento tra titoli e professione,
sul ruolo dell'istruzione in termini di mobilità sociale mi sembra molto
attuale ed interessante. Capisco la sua attenzione alle specificità del territorio
ma come forse ci siamo dette altre volte la mia paura è che guardare sempre e
solo alle "vecchie" precarietà ci fa sfuggire le nuove e diverse e
forse chi lo sa anche specifiche del territorio nuove forme di precarietà che
forse punti di contatto con le precedenti non ce le hanno neppure ma non per
questo sono meno gravi, meno invasive e mi viene da dire meno invalidanti.....
insomma, ma è solo una provocazione, sono più precaria, e più povera e meno
rappresentata, io o il mio alter ego che 40 anni fa cuciva i guanti in uno
scantinato per poche lire al mese?
da Giuseppe a Giustina:
Ho appena finito di leggere la
conversazione e credo che la questione da lei posta sia centrale, soprattutto
se si tratta di un Prin che ha per oggetto la rappresentanza dei non
rappresentati a NAPOLI. Io penso che guardare al ceto medio, alla sua
fragilizzazione e alle forme della rappresentanza significhi occuparsi di un
segmento di lavoratori che vive si la precarietà e la drammaticità delle condizioni
di vita e di lavoro che essa comporta ma che è ben lontana da quella precarietà
che invece interagisce con meccanismi di esclusione di diversa natura e che qui
a Napoli sembra essere quella più diffusa. I suoi effetti sono spesso
disastrosi e gli interessi delle persone che la subiscono non hanno trovato e
non trovano ancora alcuna forma di rappresentanza. Coloro che la vivono non
sono gli ultimi. Gli ultimi sono ancora lontani e interessano a pochi.
Nessun commento:
Posta un commento